Messaggio del Sindaco per il 25 aprile
Oggi è la giornata in cui si ricorda il passato senza tacere sul presente, quella per ricordare il sacrificio di molti nostri concittadini e per ricordare a noi tutti che la libertà è una conquista quotidiana. E lo è ancora oggi, perché le minacce, come dimostrano le cronache, non sono finite.
Il 25 aprile del 1945 il Comitato nazionale di liberazione dell'Alta Italia proclamava l'insurrezione generale in tutto il Nord per incalzare i tedeschi in fuga e quel giorno è divenuto così il simbolo di una lotta lunga e piena di sofferenze che ha portato il nostro Paese ad una stagione nuova.
È importante che le celebrazioni per la Liberazione abbiano il sapore, gioioso e allegro, di una festa popolare, perché una grande festa di popolo fu quella che spontaneamente, nei giorni successivi al 25 aprile 1945, invase Milano e tutta l’Italia, come a cancellare d’un tratto, nel fragore dei canti e di una rinnovata vitalità, la paura, la violenza e l'oppressione di oltre vent’anni.
Ha scritto Norberto Bobbio che in quel giorno memorabile, settantadue anni fa, «un’esplosione di gioia si diffuse rapidamente in tutte le piazze, in tutte le vie, in tutte le case. Ci si guardava di nuovo negli occhi e si sorrideva. Non avevamo più segreti da nascondere. E si poteva ricominciare a sperare. Eravamo ridiventati uomini con un volto solo e un’anima sola. Eravamo di nuovo completamente noi stessi. Ci sentivamo di nuovo uomini civili. Da oppressi eravamo ridiventati uomini liberi. Quel giorno, amici, abbiamo vissuto una tra le esperienze più belle che all’uomo sia dato di provare: il miracolo della libertà. Sono stati giorni felici; e nonostante i lutti, i pericoli corsi, i morti attorno a noi e dietro di noi, furono tra i giorni più felici della vita».
Tuttavia, sfogliare le pagine di una guerra civile è sempre doloroso e difficile, perché in ogni comunità locale vi furono giovani che combatterono tra di loro, uomini e donne che, travolti dalle passioni politiche, non si risparmiarono nella lotta per le proprie idee.
Ricordiamo i tanti - di diverse estrazioni politiche - che parteciparono alla guerra di Liberazione. Ricordiamo anche il contributo che diede l’Esercito Italiano, che pagò un sacrificio di ottantasettemila vittime.
La Resistenza creò una nuova classe dirigente, coesa, unita da una grande speranza per il futuro dell’Italia, dai valori di libertà, uguaglianza, fraternità e pace, che diede vita alla Costituzione.
In un’Italia lacerata e distrutta dalla guerra occorreva ricominciare da zero, scegliere una nuova forma di Stato e dare al Paese nuove regole e principi.
Per questo settantun’anni or sono, il 2 giugno 1946 votarono uomini e donne per scegliere tra Repubblica e Monarchia e per eleggere i componenti dell’Assemblea Costituente.
Il voto alle donne a partire dal referendum istituzionale del 1946,dopo che le donne erano state “il tessuto sotterraneo della guerra partigiana”, come scrisse Ada Gobetti, rappresenta meglio di ogni altra cosa il salto democratico compiuto dal nostro paese.
L’Italia divenne una Repubblica democratica e l’Assemblea Costituente si riunì la prima volta il 25 giugno 1946 per redigerela Costituzione italiana che entrò in vigore nel 1948.
La Costituzione, il principale frutto del 25 Aprile, abbraccia i valori del pluralismo, dei diritti individuali e collettivi, della cittadinanza attiva, del ripudio dalla guerra, dell’uguaglianza di genere.
Questi sono i valori della Repubblica italiana condivisi anche nella Dichiarazione Universale dei Diritti umani, bussola di riferimento dell’essere italiani in un’Europa che deve ritrovare se stessa, soprattutto a fronte della chiusura delle frontiere davanti a donne, uomini, bambini in fuga dalla guerra, dalla persecuzione, dalla fame.
Durante la Resistenza anche altrove, in un’Europa devastata da una guerra che non si combatteva solo sul fronte militare ufficiale, ma ovunque, nelle campagne e nelle città, ci furono donne e uomini che scelsero di essere parte attiva nei movimenti di riconquista della libertà dei propri Paesi.
Popoli diversi furono solidali nel desiderio di un mondo nuovo, di un futuro di pace.
È in questa vicenda collettiva, in questo speranza corale, che trova la sua radice il sogno di un’Europa democratica ed unita.
Ma oggi abbracciamo la memoria. Quella autentica, quella obbiettiva. Abbracciamo idealmente, ringraziamo e onoriamo chi,tra i nostri connazionali, pagò con il sacrificio della vita e tutti coloro che, anche oltre i nostri confini, caddero combattendo. La storia è materia in divenire che, lungo il suo cammino, lascia tracce indelebili.
Il 25 Aprile ci dice che la libertà è una conquista continua. Oggi il rischio ha altri nomi, assume nuove sembianze, ha la faccia del terrorismo, si insinua nelle nostre vite, mette in discussione la nostra quotidianità, ha il nome della paura. Oggi il rischio è la crisi, che ha ridotto in schiavitù una generazione. Ecco perché in questo settantaduesimo 25 aprile ricordare il passato è anche non tacere sul presente.
Nel tempo difficile che attraversiamo, v’è chi, anche in Italia, è tornato ad alimentare quotidianamente la paura del diverso e la rabbia verso l’altro e promuove continue e violentissime campagne d’odio.
Solo se saremo rigorosi ed intransigenti nel garantire universalmente i diritti inviolabili della persona, potremo essere ugualmente esigenti nel pretendere l’ottemperanza ai doveri inderogabili che ciascuno ha nei confronti del prossimo e dell’intera comunità.
Dovremmo tornare ad essere tutti partigiani della ragione, votati a quell’ideale illuministico della pace perpetua, invocato da Immanuel Kant già alla fine del Settecento.
Quello che sta accadendo intorno al nostro Mediterraneo è, evidentemente, molto più complesso di quanto qualche demagogo, cinico ed irresponsabile, vorrebbe far credere. «L’uomo civile – scriveva Altiero Spinelli, nel 1942, a proposito del razzismo - è un prodotto complicato e fragile. I più grandiosi frutti della civiltà sono dovuti alla ferrea disciplina che questa impone al selvaggio animo. Ma quando gli uomini vengono a trovarsi di fronte a problemi la cui soluzione è di importanza vitale e di cui tuttavia non riescono a venire a capo per le resistenze che incontrano e per la mancanza di strumenti atti a risolverli in modi civili, quella disciplina si può spezzare e lasciar emergere le forze primordiali. Le quali tendono a risolvere le difficoltà colla violenta imposizione della loro volontà».
Ma noi sappiamo bene – proprio perché la storia gloriosa che oggi celebriamo ce l’ha insegnato – che l’odio, la violenza, la propaganda razzista non soltanto è orribile e ingiusta in sé, ma non risolve affatto le difficoltà.
Buona Liberazione!
Viva la Resistenza!